Romeo e Giulietta vs Tisbe e Piramo
written by: Esposito Silvio
Romeo, unico figlio ed erede dell’influente famiglia Montecchi di Verona, aveva sedici anni ed era bello, intelligente e sensibile; sebbene fosse impulsivo e a volte immaturo. Inoltre era abile nell’uso della spada e, nonostante vivesse nel mezzo di una faida tra la sua casata e quella dei Capuleti, aborriva la violenza: il suo unico chiodo fisso era l’amore: dapprima per una certa Rosalina per poi rimanere colpito alla vista della bella Giulietta. Accadde durante un ballo in maschera che s’innamorò di lei alla follia.
Amore da Giulietta corrisposto e fu il classico colpo di fulmine, immediato e irresistibile. Di fatto la sera stessa i due si dichiararono e seduta stante decisero di sposarsi di fronte a frate Lorenzo.
Tuttavia gli sposi vissero una sola notte d’amore. A seguito di un duello, Romeo venne esiliato e Giulietta, per non trovarsi costretta a convolare a nozze con un nobile scelto dai genitori, ingerì una pozione che le aveva dato frate Lorenzo e poco dopo cadde in una sorta di morte apparente. Dipartita che avrebbe dovuto durare all’incirca quarantadue ore a detta del frate, però Romeo non era stato da lui avvisato per tempo del piano e, al credere che la sua amata Giulietta fosse deceduta, impazzito dal dolore si recava al suo capezzale per porre fine alla sua vita: non avrebbe vissuto un solo altro giorno senza la sua amata Giulietta.
Questo il ragazzo pensava di fare nell’attraversare a testa china le vie di una Verona ancora assonnata. Non passava anima viva a ostacolare il suo cammino, a parte una vasta pozzanghera che stava per aggirare, allorché si fermò al notare che l’immagine riflettssa nello specchio d’acqua non era la sua, come avrebbe dovuto, ma di un’altra persona.
A quel punto lui si voltò per vedere se ci fosse qualcuno dietro di lui. Però c’era solo la sua ombra allungata dai primi raggi del sole a tenergli compagnia. Dunque si specchiò di nuovo e niente, la pozzanghera rifletteva il volto di un ragazzo con capelli ricci e neri, come neri erano i suoi occhi e la carnagione. Romeo non si sentiva dell’umore adatto per fermarsi e scoprire quali fossero le cause di quello strano fenomeno e, allungata una gamba, con il piede destro calpestò il volto dell’altro ragazzo.
Non l’avesse mai fatto, subito dopo si formò un vortice e Romeo, alla vista del gorgo, retrocesse di qualche passo. Tuttavia non bastò a salvarlo, il gorgo si allargò a dismisura e a lui non rimase che urlare tutta la sua disperazione nella speranza che qualcuno sentisse le grida e accorresse in suo aiuto. Ma nessuno si presentò per tempo e le acque torbide lo risucchiarono con il trascinarlo in basso, sempre più in basso e lui, d’istinto, chiuse la bocca. Poi, la mancanza d’aria lo costrinse a riaprirla e l’acqua grigia non ebbe pietà di lui, invase la sua gola e l’attimo dopo si fece strada fino ai polmoni così che lui perse i sensi.
All’aprire gli occhi, Romeo si accerta di essere ancora vivo. Consapevolezza che lo rese felice per poi abbattersi subito dopo al pensiero della sua amata. Però non era il momento di abbattersi, ma di scoprire dove il gorgo lo avesse portato.
Romeo si trovava disteso su di un letto, più che altro un giaciglio fatto di paglia ricoperto da lino fresco e profumato. Covile posto in una grande stanza le cui pareti sembravano fatte di mattoni. Al centro faceva la sua bella figura una tavola apparecchiata con sopra una brocca, forse con dell’acqua, un cesto colmo di frutta fresca, alcuni ortaggi e del pesce freschissimo. Al tutto davano luce tre larghe aperture poste in alto, da dove filtravano prepotenti i raggi di un Sole caldo e abbagliante.
Questa non poteva essere la sua stanza, pensò Romeo sbalordito: non c’erano quadri e arazzi alle pareti e, dall’arredo spartano della stanza, non ebbe dubbi che si trattasse dell’abitazione di qualche contadino. Ma come poteva essere possibile, si chiese perplesso più volte. E stava per alzarsi e uscire all’aperto per sincerarsi che non fosse un sogno, che la porta si aprì e la luce del sole lo abbagliò con il costringerlo a chiudere gli occhi e a fermarsi. Solo quando la porta venne chiusa li riaprì e vide davanti a sé la sagoma di una donna e di un ragazzo che lo guardavano come se fossero contenti di vederlo.
Il volto del ragazzo era lo stesso che Romeo aveva visto riflesso nella pozzanghera. La donna invece non l’aveva mai vista prima e anche lei aveva capelli e occhi neri, come anche la carnagione. I due individui vestivano con uno strano abbigliamento: la donna una lunga tunica bianca e il ragazzo un gonnellino e quindi il suo torso era scoperto. L’unica cosa che accomunava i due, non avevano scarpe ai piedi.
Prima che la donna si presentasse, Romeo si alzò di scatto e la zittì: “Chi siete voi e perché mi trovo nella vostra dimora? Almeno, presumo che lo sia.”
Con un sorriso caldo e gentile, la donna si presentò al giovane Romeo: “Salve a te, straniero. Sono Tubara e il ragazzo al mio fianco è Piramo, il mio figliolo. Ti trovi a Babilonia, ragazzo, una delle città più ricche della Mesopotamia. Sei qui perché ti abbiamo trovato svenuto sulle rive dell’Eufrate. E ora che l’hai saputo, ti dispiacerebbe dirmi cosa ci facevi lì? E soprattutto, da dove vieni?”
Romeo non poteva credere alle proprie orecchie. Questo doveva essere uno scherzo di cattivo gusto. Come era possibile che fosse arrivato fino in Mesopotamia in un batter d’occhio. Per cui sbottò tutta la sua incredulità e diffidenza verso i due: “Mi prendete in giro, vero? Non può essere che io mi trovi in Mesopotamia. Fino a qualche minuto fa passeggiavo per le vie di Verona e-”
“Verona? E che città è mai questa? Dove si trova di preciso? Non ne ho mai sentito parlare.” Spiattellò meravigliata la donna, che poi si avvicinò a Romeo e, dopo avergli preso il volto tra le mani, con tono calmo e comprensivo provò a tranquillizzarlo: “Figliolo, devi aver battuto la testa, non esiste una città con quel nome, perché altrimenti lo saprei… Beh, lavoro a corte a stretto contatto con il re e l’avrei sentita nominare da lui. Perciò ora riposati, sei ancora scombussolato, ne riparleremo solo dopo che ti sarai ripreso.”
Romeo non aveva sonno e, stizzito ancor più dalla risposta, voleva farle sapere che stava bene: “Non ho bisogno di riposare e voi, signora, smettetela di farmi passare per pazzo.”
“Ora non ho tempo di discutere con te, figliolo. Lo faremo stasera al mio ritorno. Quindi ti lascio nelle mani del mio figliolo, Piramo ti porterà a fare un giro per la città così avrai modo di vedere con i tuoi occhi che non ti ho mentito.” E rivolta al suo ragazzo: “Non farmi pentire, Piramo. Sai a cosa alludo, vero?”
“Sì madre. Non ti preoccupare, sarò giudizioso.”
Anche se non era del tutto convinta, la madre uscì e Piramo rivolse le sue attenzioni a Romeo.
“Scusa, ma tu come ti chiami?”
“Romeo.”
“Bel nome, anche se devo dire che è un po’ strano. Come avrai sentito, io mi chiamo Piramo. Bene, adesso che ci siamo presentati, vestiti, ho da farti vedere un sacco di cose e non abbiamo molto tempo a disposizione prima che tramonti il Sole.”
Sulla sedia, accanto al giaciglio, c’erano appoggiate e piegate le sue cose: pantaloni, camicia e giubba. Anche il suo fioretto e fu felice di vederlo, con la lama al fianco si sarebbe sentito protetto, anche se lo avrebbe usato solo in caso di necessità.
“Non quelli, Romeo, i tuoi abiti non sono adatti, fuori fa molto caldo e patiresti… E poi se tu li indossassi attireresti l’attenzione e non è il caso. Abbiamo la stessa taglia, vestiti con questo, vedrai che ti starà a pennello.”
Piramo passò a Romeo un gonnellino bianco simile al suo e lui, al vederlo, storse il naso, ma la curiosità di scoprire cosa ci fosse fuori ebbe la meglio sulla vergogna e lo indossò.
“Ti sta benissimo, Romeo. Però prima di uscire spargi questa pomata sulla tua pelle chiara, la proteggerà dai raggi del Sole, altrimenti stasera saranno dolori per te.”
Quando finì di impomatarsi per bene, Piramo aprì la porta e invitò Romeo, che era lucido come se sul suo corpo fossero passate migliaia di lumache, a seguirlo.
Una volta messo il naso fuori, Romeo rimase senza parole. Cioè a bocca aperta e solo dopo averla chiusa, prima che una mosca vi trovasse alloggio dentro, con la meraviglia negli occhi fece la sua prima domanda: “Cos’è quella cosa laggiù?”
Una pietra enorme, con incisi degli strani caratteri sopra, si ergeva immanente al centro di una piazza frequentata da centinaia di persone, che dal canto loro la percorrevano in lungo e in largo senza fare caso a essa, come se non esistesse.
“Come, non conosci Il codice di Hammurabi… Ah, lui è Il nostro re. Il suo codice si basa sulla legge del taglione… Che prevede una condanna equivalente alla colpa commessa. Con quella pietra Hammurabi avverte il popolo a non farsi giustizia da soli, ma a rivolgersi a lui che li punirà con la stessa moneta. Questa è Babilonia, la mia città e che dire, io la adoro. Forza, vieni con me, questo è niente, ti porto a vedere dove vive il re.”
Romeo seguiva Piramo con gli occhi pieni di meraviglia e infine si arrese, si trovava per davvero in Mesopotamia. Tutto quello che vedeva era così reale che non poteva trattarsi di un sogno. E al trovarsi di fronte a quella costruzione immensa, ne ebbe la certezza e cadde in ginocchio sopraffatto dalla magnificenza di quella dimora gigantesca fatta di pietre enormi incastonate una nell’altra con certosina perfezione, quasi maniacale.
“Questa è la residenza di Hammurabi. Il centro della nostra città: Babilonia. Come vedi la struttura è circondata da alte mura decorate con colori vivacissimi. Tuttavia la sua unicità sta nei suoi giardini pensili e sai, ho sentito che sono diventati una delle sette meraviglie del creato.”
Senza dubbio lo era, pensò Romeo all’osservare incantato fiori e piante che adornavano i muri perimetrali e da essi, a intervalli regolari, sgorgava acqua che scendeva giù a cascata e lui, se non fosse stato per Piramo, sarebbe rimasto lì fino a sera a guardarla e rimirarla a bocca aperta.
“Lascia perdere e vieni con me, tanto noi non possiamo entrare. Ora ti porto al mercato, lì ci divertiremo di più.”
Attraversarono la città di corsa per ritrovarsi davanti al mercato più grosso che Romeo avesse mai visto in vita sua. I mercanti itineranti cedevano di tutto e lo facevano mediante il baratto. Non tutti, però, aveva visto che alcuni, i più agiati, pagavano con delle monete d’oro o d’argento.
Romeo ascoltava le urla dei mercanti pubblicizzare la loro mercanzia, cose buone i cui profumi gli inebriavano i sensi e si ricordò che non aveva mangiato. Ma si era fatto tardi e Piramo lo distolse dai sogni a occhi aperti in cui si vedeva addentare un bel cosciotto d’agnello.
“Dobbiamo rientrare, mia madre sarà tornata e se non ci vede si preoccuperà da morire. E poi, visto che ci sei tu, sono certo che avrà preparato qualche manicaretto delizioso e ho già l’acquolina in bocca… Scusa, ci sei rimasto male? Avresti voluto rimanere ancora? Non ti avvilire, continueremo la visita della città domani, ti porterò a conoscere il resto e, se siamo fortunati, mia madre ci farà visitare i luoghi dove vive il re… Lei lavora con lui fianco al fianco e non avrà problemi a farci entrare.”
Frastornato da quello che aveva visto finora, Romeo non ribatté e lo seguì.
Arrivarono poco prima che il sole tramontasse e , aperta la porta, Piramo entrò per primo e salutò la madre. La donna lo accolse a braccia aperte per poi rivolgere il suo sguardo amorevole verso Romeo.
“Allora, giovanotto, ti è piaciuta la nostra città?”
“Sì, mia signora, ed è incredibile. Però ora mi chiedo come io possa esserci arrivato fin qui. Perché questa non è la mia città natale e-”
“Su, su, non abbatterti per questo momento di offuscamento della memoria, vedrai che a breve tornerà e ricorderai chi sei e da dove vieni… E di certo non è… come hai detto che si chiamava? Ah, ora rammento, Verona. Hai preso solo un brutto colpo alla testa. Ma per ristabilire la memoria persa bisogna nutrire il corpo, soprattutto il cervello, perciò mangiamo, ho preparato un sacco di cose buone per te. Dopodiché andrai a dormire e vedrai, domani ricorderai tutto.”
Doveva essere per forza un sogno. Non c’era altra spiegazione e, una volta sveglio, sarebbe tutto tornato alla normalità, pensò Romeo che per tale ragione non proferì parola, fece solo un cenno con il capo per far capire che stava bene.
“Sei un ragazzo giudizioso, Romeo. Siediti, ho preparato della polenta e infornato focaccia e farinata. Ho messo su anche una zuppa di cipolle, ceci e lenticchie. Però se non la gradisci c’è del pesce in umido. Mi spiace, la carne non me la posso permettere con le mie entrate.
Romeo non obbiettò e, dopo aver mangiato quello che si trovava sulla tavola, e bevuto della birra, si alzò e si recò dritto verso il giaciglio.
Piramo stava per fermarlo, ma la madre lo guardò minacciosa in volto e si sdraiò sopra una stuoia per terra.
Quando Tubara andò a riposare nella stanza adiacente, Piramo si alzò e, dopo essersi vestito senza fare rumore, uscì di soppiattò. Però Romeo era pensieroso, non riusciva a dormire e, al vederlo uscire, si alzò e lo seguì di soppiatto.
***
Piramo e Tisbe erano due fanciulli babilonesi che abitavano in due case contigue e, grazie alla vicinanza, si erano conosciuti e tra loro era nato l’amore. Purtroppo, però, le rispettive famiglie non volevano che si vedessero e loro si trovavano costretti a parlarsi attraverso una crepa sorta nel muro comune alle loro case. Lo avevano fatto la sera prima e, attraverso quella fessura, si erano dati appuntamento davanti al sepolcro di re Nino, sotto l’albero a loro tanto caro.
Anche Tisbe era uscita di nascosto, ma con il volto velato per non farsi riconoscere e, imboccato il sentiero e arrivata dinanzi al sepolcro, si guardò intorno.
Piramo però non era ancora arrivato e lei si sedette spalle all’albero prestabilito in attesa che si palesasse.
Intanto, una leonessa che aveva appena fatto strage di buoi, con il muso intriso di sangue procedeva lemme verso una fonte d’acqua per dissetarsi. Fonte che si trovava proprio lì accanto e, allorché Tisbe la vide venire avanti, prima che la belva la vedesse corse a rifugiarsi in una grotta nelle vicinanze; ma nella foga di scappare, il velo le scivolò dalle spalle e cadde in terra.
Sedata la sete, la leonessa tornava sui suoi passi, ma al trovarsi sul cammino il delicato capo, che emanava un profumo a lei sgradito, strappò il velo con le fauci ancora sporche di sangue.
Piramo era quasi arrivato sul luogo dell’appuntamento, ma allo scorgere le orme inconfondibili della belva, affrettò il passo e durante il cammino i suoi timori iniziarono a concretizzarsi sempre più: sul sentiero trovò il velo macchiato di sangue, che riconobbe essere quello che lui aveva donato alla sua amata e, al pensiero terribile che la belva l’avesse divorata, invocò per se stesso la morte in quanto si riteneva responsabile.
Distrutto dal dolore, Piramo raccolse i brandelli del velo di Tisbe e, arrivato ai piedi dell’albero convenuto, si conficcò un pugnale nel ventre e poco dopo morì dissanguato.
Solo dopo essersi accertata che la belva non si vedeva, Tisbe uscì dal riparo di fortuna per tornare sul luogo stabilito e, arrivata, rimase impietrita, e non per la meraviglia, ma per lo sgomento. Seduto spalle all’albero sacro, c’era il corpo agonizzante del suo amato Piramo e sotto di lui una pozza del suo sangue.
Disperata, Tisbe affrettò il passo e, arrivata al suo cospetto e chinatasi, vide che lui teneva stretto in una mano il suo velo strappato e sporco di sangue, e non era il suo. Al che lei capì che la belva dopo essere tronata dall’abbeveraggio doveva averlo strappato con le fauci ancora sporche del sangue della bestia che aveva divorato. Ma questo il suo amato non lo sapeva e al trovarlo sul sentiero aveva invece creduto che la leonessa l’avesse uccisa.
Affranta da un dolore insopportabile, Tisbe prese il pugnale dal ventre di lui e al suo posto inserì dei fiori bianchi colti lì accanto e poi, poggiata la punta della lama sotto il suo petto, lama ancora calda del sangue di Piramo, si curvò in avanti e lasciò che la punta le trafiggesse il cuore.
***
Romeo aveva assistito alla scena impotente, tuttavia il loro dramma gli aveva aperto gli occhi. E se Giulietta, come Tisbe, non fosse davvero morta? Come invece gli avevano fatto credere? Pero non ebbe il tempo di rimuginarci sopra, sotto di lui prese a riformarsi un gorgo, che lo risucchiò e lo rilasciò davanti allo specchio d’acqua.
Pozzanghera che lui stava per aggirare per recarsi dalla sua amata, quando una voce lontana lo fermò, quella di Frate Lorenzo: “Sei tu, Romeo? Benedetto iddio, ti ho trovato, infine. Devo parlarti… Ecco, non so come dirtelo, però vedi, la tua amata Giulietta non è morta, come ti è stato riferito. Ha solo ingerito una pozione che le ho dato io per mettere a fuori gioco i suoi genitori. Domani lei si sveglierà e, se lo vorrete, potrete fuggire insieme per lidi meno ostili e vivere felici il vostro immenso amore.”
- Romeo e Giulietta vs Tisbe e Piramo - November 6, 2025



